I fatti loro #1: Abel Montero

Nel panorama dell’editoria indipendente italiana, di certo uno dei nomi più importanti è Abel Montero, che ha accettato volentieri di concedermi un’intervista, tra un’arancino, una granita al caffè (con panna, of course) e un cannolo.

Abel Montero, still life in bianco e nero, elettroni su schermo

Opere pubblicate:
Saga del Protettorato
0: La furia e le stelle
1: Il ragazzo bendato
2: Il guerriero spezzato
3: Il dominio dei Mancanti

Le cronache di Kiengir
1: La volpe e l’elsa
2: Gli scudi di cenere (in dirittura d’arrivo)

Autoconclusivi
La promessa di Jerome Faure


Grazie per aver accettato di rispondere a qualche domanda sul tuo lavoro come autore indipendente.

Grazie a te.

Vuoi iniziare raccontandoci qualcosa di te?

Io sono Abel. Scrivo letteratura fantastica, soprattutto fantascienza e fantasy. Prima di fare sul serio con la scrittura ho fatto molti lavori: dall’insegnante di cucina tipica alla guida turistica. Sono un Direttore Artistico Pubblicitario, ma adesso mi occupo di pubblicità per lo più nell’ambito della mia promozione autoriale.

Prima di entrare nel tuo mondo, c’è una lettura recente che vuoi raccomandare? E perché?

Assolutamente sì. Sono un lettore appassionato, anche se posso spendere molto meno tempo di quanto vorrei a godermi i romanzi altrui. Vi raccomando Empire of Silence, di Christopher Ruocchio. Si tratta del primo volume di una serie sciencefantasy scritto benissimo, appassionante e poetico. Dategli una possibilità. Mi ringrazierete dopo. In italiano, di un’autrice italiana, date un’occhiata a NUMBERS di Azzurra Pasquali, una delle letture più divertenti di quest’anno.

Hai hobby o altri interessi oltre alla scrittura? Cosa fai per evadere dai mondi che crei, per così dire?

Ho una preparazione artistica classica, quindi il disegno prima di tutto: carboncino, china acquerellata. Anche quelle sono passioni a cui vorrei poter dedicare più tempo.

Restando in tema: scrivere è un lavoro solitario e duro, nella migliore delle ipotesi. Cosa fai per mantenere un equilibrio sano tra la scrittura e il resto della tua vita?

Non ci riesco! No, a parte gli scherzi, immagino che chi fa della propria passione un lavoro sappia a cosa mi riferisco. Il tempo speso a creare mondi, personaggi e storie è impareggiabile. Ma è anche un esercizio d’empatia potentissimo. Io sono un uomo molto introverso, quindi posso dire che la scrittura e i meccanismi che innesca – immedesimazione, riflessione ed empatia, appunto – paradossalmente mi aiutano a restare meno chiuso in me stesso. In definitiva, direi che cerco di non lasciare al caso l’avvicendarsi dei miei impegni lavorativi e familiari. Imposto delle scadenze e degli appuntamenti specifici che mi costringono a interagire con il resto del mondo. Se non lo facessi, finirei per passare il mio tempo a leggere e scrivere romanzi.

Un classico: perché hai deciso di iniziare a scrivere?

Depressione, in una parola. E ho scritto solo per me e i miei amici per diversi mesi senza immaginare di poter trasformare la scrittura in professione. Scrivere mi permetteva di estraniarmi dai dolori che mi falciavano l’esistenza e di analizzare in maniera più distaccata il mio comportamento.  È stato estremante utile lavorare d’introspezione in modo così equilibrato. Quando la mia salute mentale è migliorata, la scrittura è rimasta per tutto ciò di buono che dona, non l’ultimo la possibilità di condividerla con una comunità di persone dalle sensibilità affini. Ci ho messo un po’ a tentare la pubblicazione professionale, ma ne è valsa la pena. Sono cresciuto in un contesto sociale in cui l’idea di lavorare con la scrittura non è nemmeno una possibilità e ho passato anni a cercare di spiegare alla gente cosa significasse. Ora ho smesso, un po’ perché il contesto culturale italiano sta cambiando, un po ‘ perché ho iniziato a dedicare sempre meno attenzione all’opinione altrui.

Quanti libri hai già scritto? C’è qualche lezione che hai appreso scrivendo le tue opere?

Otto scritti, sei pubblicati. Direi che la scrittura mi ha insegnato ad osservare la gente con più gentilezza e a pretendere di meno dagli altri. E poi i lunghi periodi di gestazione di ogni manoscritto sono un modo perfetto per mettere alla prova la pazienza di chiunque. Sono un uomo molto più sereno e rilassato grazie a questo mestiere.

Di solito scrivi in silenzio o con rumori di sottofondo, musica o altro?

Ascolto sempre colonne sonore cinematografiche in cuffia e cerco di creare un tappeto sonoro adatto al mood della scena. Quando parlo di viaggi ed esplorazione ascolto la colonna sonora di Skyrim. Se scrivo scene tese o d’azione ascolto le musiche di Inception, Tenet, The Bourne Ultimatum. Amo la music factory Audiomachine su Youtube, creano colonne sonore per trailers cinematografici. Ve li consiglio caldamente.

Quali sono i tuoi generi e cosa ti ha spinto a sceglierli? C’è un genere che vorresti assolutamente provare, ma che per un qualsiasi motivo non hai ancora affrontato?

Ho scritto solo fantascienza per diversi anni, ma adesso gravito più verso science fantasy e high fantasy. Per me è stato automatico esplorarli con la scrittura perché sono i generi che ho letto per tutta la vita. La letteratura fantastica ha una componente d’escapismo impareggiabile. Le possibilità d’esplorazione che offre, sia dal punto di vista umano che concettuale, sono infinite. Mi piacerebbe scrivere un thriller puro prima o poi, ma non credo di avere la sensibilità adatta in questo periodo della mia vita. Quando sarò più maturo chissà.

Qual è la cosa che ami di più dell’essere un autore indipendente? Cosa vorresti vedere di più in quel campo?

Amo il controllo artistico e manageriale che l’autoeditoria garantisce. Avere sempre l’ultima parola su ogni decisione è terrorizzante ma anche molto, molto appagante. Il carico di responsabilità e il dispendio di risorse si moltiplica, ma amo l’idea di poter scrivere e mettere in commercio opere che possono esistere al di fuori di alcune dinamiche o limitazioni dell’editoria tradizionale.
Vorrei vedere meno improvvisazione e approssimazione. Vorrei che chi si autopubblica lo facesse con meno fretta e più consapevolezza.

Hai autori preferiti? Sei influenzato da loro nella tua scrittura?

Carlos Ruiz Zafon, Christopher Ruocchio, Robert Jordan e James S.A. Corey prima di tutti. Ma anche Isaac Asimov e Alfred Elton Van Vogt. E poi Robin Hobb e Lois McMaster Buyold. In un modo o nell’altro, hanno tutti influenzato profondamente la mia visione del mondo, hanno aperto la mia mente a mondi che vanno oltre la mia immaginazione. Mi hanno insegnato come si raccontano le storie e cosa possono significare per la vita di chi le legge.

Come caratterizzeresti il tuo stile di scrittura?

Bella domanda, perché è cambiato molto negli ultimi anni e chi mi segue da un po’ se ne sarà accorto. Sono sempre stato diviso tra dall’esplorazione delle emozioni/sensazioni dei miei personaggi e le scene d’azione ad alto voltaggio del cinema d’azione. Negli ultimi anni sto spostando la mia attenzione sugli archi di trasformazione personale che ogni personaggio affronta. Così scrivo meno azione e più introspezione. Ma il risultato è una narrazione molto più viscerale e storie che, almeno spero, restano con i lettori per molto più tempo.

Genere di personaggi preferiti?

Non sopporto i megalomani e gli egocentrici, nella vita reale e nei romanzi. Se fanno parte delle mie storie, sono i nemici. Per questo i miei protagonisti sono per lo più persone capaci di mettere da parte il proprio ego per il bene degli altri e affrontano situazioni straordinarie privi della certezza di vincere.  I protagonisti guidati solo da motivazioni e brame personali non mi interessano. E nemmeno i predestinati che non mettono in discussione le loro azioni o il loro valore. I miei protagonisti sono persone fallaci, ma devono avere motivazioni nobili. Lascio il grigiore e l’oscurità degli antieroi brutti e cattivi a chi ha l’attitudine mentale adatta a scriverli. Io non ce la faccio.

Quanto c’è di te nei tuoi personaggi? E nelle tue storie?

Molto o troppo a seconda della persona a cui lo chiedi.

Scegli uno dei tuoi libri e descrivilo con tre aggettivi.

Scelgo La Promessa di Jerome Faure: decadente, appassionate, doloroso.

Esiste un tema che accomuna tutti i tuoi libri? Se sì, parlacene.

La ricerca dell’identità personale, la comprensione dell’empatia, l’altruismo e la ricerca del valore dei legami emotivi e sentimentali.

Ti è successo di incontrare delle scene particolarmente difficili da scrivere? Te la senti di parlarcene?

I traumi personali pregressi, la riflessione sui dolori passati, specialmente quando i personaggi evitano di affrontarli, sono sempre dei bocconi duri da mandare giù per me.

Si dice di non giudicare mai un libro dalla copertina, ma è proprio quella la prima cosa che deve catturare un potenziale lettore. Come crei le tue copertine? Lo fai tu o preferisci appoggiarti a professionisti?

Creo tutte le mie copertine personalmente perché ho le competenze artistiche e professionali necessarie e perché anche quello è un processo creativo molto appagante.
Per La Promessa di Jerome Faure è stato un po’ diverso. Mi sono innamorato di un progetto grafico già elaborato e ne ho comparto i diritti perché era assolutamente perfetto per la storia che avevo scritto e volevo rendere onore all’artista che lo ha creato, saintjupit3r.

Hai una citazione preferita dal tuo ultimo libro pubblicato? Dicci, dicci.

“Vado ad avverare un sogno preso in prestito.”
Potrei spiegarvi il contesto, ma spero che lo scoprirete da soli.

Stai lavorando su nuovi progetti? Puoi rivelarci qualche dettaglio?

Decisamente sì. Sto ultimando il secondo volume della mia trilogia high fantasy intitolato “Le Cronache di Kiengir: Gli Scudi di Cenere”, che uscirà in inverno, e al prossimo standalone science fantasy in uscita in primavera. Non posso divulgare molti dettagli, ma sul mio profilo Instagram se ne trova qualcuno. Sto anche rifinendo la seconda stesura di L’Abisso Corrotto, libro conclusivo della Saga del Protettorato, che non ha ancora una data di pubblicazione precisa. In generale però cerco di pubblicare due romanzi all’anno: uno a giungo e uno a dicembre.

Concludiamo con una massima per chi leggerà l’intervista.

Chi ascolta con attenzione ha bisogno di porre poche domande.
Chi osserva i dettagli conosce già le risposte.

Ultimissima domanda: perché indipendente?

Perché ho troppe storie da raccontare e troppa paura che vengano trattate con meno amore di quanto si meriterebbero.

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